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L’unità 731 dell’esercito giapponese, guidata da Ishii Shiro, operò in Manciuria tra il 1936 e il 1945 ed aveva il compito di eseguire ricerca per la produzione di nuove e letali armi batteriologiche.
A questo scopo, venivano usati cinesi, russi e, in generale, i prigionieri di guerra. Ceppi di batteri venivano liberati sulla popolazione civile con lo scopo di far scoppiare epidemie (peste, tubercolosi, antrace, colera) per poi studiarne gli effetti e raccogliere dati utili per le ricerche. Nel 1925 a Ginevra ci fu la celebre firma che porta il nome della città svizzera, ma il Giappone non risultò tra i paesi firmatari. Agli inizi degli anni ’30 il Giappone avviò un programma per lo studio di nuove armi batteriologiche. Il generale Ishii divenne uno dei più entusiasti sostenitori della nuova arma che sarebbe dovuta essere la carta decisiva, per il Giappone, per vincere qualsiasi guerra moderna.
Per sperimentare e per le ricerche di nuove armi biologiche si decise di costituire un gruppo, l’unità 731, che avrebbe avuto il quartier generale a Herbin, in Manciuria. La scelta del luogo fu dettata dall’abbondanza di cavie umane, i cinesi, su cui poter testare gli effetti delle nuove armi.
Quello che successe a Herbin, durante il periodo della guerra, è degno del peggior film di orrore. Sulle cavie umane, vive, venivano fatti esperimenti di ogni tipo: congelamento, vivisezione, bruciature. Su di loro, inoltre, venivano iniettate le malattie più mortali per studiarne gli effetti. Sulla popolazione civile circostante venivano gettati ceppi di colera, peste bubbonica, antrace, tubercolosi al fine di creare un’epidemia utile alle ricerche. Questi lanci di test sulla popolazione ad un certo punto cessarono in quanto le epidemie, difficilmente controllabili, rischiavano di contaminare i soldati giapponesi. Nel 1942 ben 1700 soldati nipponici perirono a seguito di una di queste epidemie.
Di sicuro nessuno sopravvisse agli esperimenti e, secondo lo storico americano Sheldon Harris, che sull’argomento ha pubblicato anche un libro “Factories of Death”, i morti furono addirittura circa 200.000. Negli ultimi giorni della guerra gli ufficiali dell’unità 731 decisero di uccidere le cavie rimaste nel laboratorio per eliminare ogni possibile testimone. In quei giorni molti animali, portatori di un bacillo, manipolato in modo tale che potesse essere trasmesso all’uomo, vennero liberati e le epidemie che scoppiarono fra la popolazione provocarono altri morti fino al 1948.
Quasi subito dopo la fine della guerra iniziò il confronto tra le due superpotenze uscite vincitrici dal conflitto: gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica con i loro rispettivi alleati. Di lì a poco sarebbe scoppiata la guerra di Corea e gli Stati Uniti si ritrovavano indietro nelle ricerche sulle armi batteriologiche. Era quindi necessario entrare in possesso dei dati delle ricerche effettuate dall’unità 731.
Quei dati avrebbero permesso agli americani di fare un decisivo passo in avanti anche in quel campo e di avere un’arma decisiva da usare, eventualmente, come ultima ratio in caso di scoppio delle ostilità contro il blocco sovietico. Fu così che il generale Douglas MacArthur, in qualità di governatore del Giappone, offrì l’immunità a Ishii e ai suoi in cambio dei dati delle ricerche effettuata ad Herbin.
Il maggiore responsabile, il dottor Mengele giapponese, Ishii Shiro, morì nel 1959 negli Stati Uniti, senza avere scontato un solo giorno di prigione per i suoi crimini. Molti ufficiali dell’unità 731, dopo la fine della guerra, entrarono a lavorare nell’industria farmaceutica.
Ma la storia non si concluse con la morte di Ishii Shiro. Alla fine della guerra i Giapponesi abbandonarono lo stabilimento di Herbin con tutto l’arsenale fatto di colture di batteri. La Manciuria passò alla Cina di Mao che quindi entrò in possesso di queste armi.
Non si seppe mai come vennero utilizzate. Oltretutto la Cina è sempre stata reticente di fronte alla richiesta di spiegazioni da parte della comunità internazionale.
Secondo un rapporto della Conferenza di Ginevra sul disarmo del 1992, la Cina sarebbe entrata in possesso di 100 tonnellate di agenti batteriologici, abbandonati dai Giapponesi a fine della guerra. Di questi agenti non si seppe mai nulla e il timore è che siano entrati a far parte dell’arsenale dell’esercito popolare cinese.
Alcuni scienziati sono arrivati addirittura ad ipotizzare, senza molte prove, a dire la verità, un possibile legame tra queste culture batteriologiche e l’epidemia di SARS che qualche anno fa imperversò nel sud est asiatico. I cinesi, secondo questi scienziati, potrebbero aver liberato, più o meno intenzionalmente, un virus, prodotto dai Giapponesi ad Herbin, dando così inizio all’epidemia. A sostegno di questa ipotesi c’è il fatto che i giapponesi dell’unità 731 condussero effettivamente delle ricerche su un batterio che avrebbe dovuto colpire i polmoni.
Questo episodio forse non è molto conosciuto nel mondo occidentale. Solo a partire dagli anni ’80 alcuni storici giapponesi e americani riuscirono, con le loro ricerche e le loro pubblicazioni, ad aprire un varco nel muro di omertà che circondava l’episodio. Alcuni ex militari dell’unità, ormai ultra-settantenni, cominciarono a rivelare gli orrori a cui avevano preso parte. Oggigiorno il Giappone è pienamente consapevole delle attività che venivano svolte ad Herbin. Nel 2002, a seguito di una richiesta di risarcimento da parte di un centinaio di cinesi, un tribunale di Tokyo ha pubblicamente ammesso il coinvolgimento di soldati giapponesi negli esperimenti che venivano fatti ad Herbin.
Fonti :
Nipponico – Unità 731, chi vuole nasconderla ? articolo di Massimiliano Crippa
World War II in Pacific – Japanese Unit 731 Biological Warfare Unit
La Repubblica – Orrori e misteri dell’Unità 731 articolo di Marco Lupis
Cristiano Suriani
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