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Tra il XV e il XIX secolo, furono venduti e deportati 21 milioni di africani.
10 milioni morirono durante la traversata, gettati in mare quando si ammalavano, o quando le provviste di cibo e di acqua cominciavano a scarseggiare. Intorno al 1650 olandesi, inglesi e francesi svilupparono ampie piantagioni nelle Americhe. Le popolazioni indigene americane erano piuttosto scarse e andavano sempre più assottigliandosi colpite da epidemie trasmesse dagli europei. Pensarono di usare per il lavoro i nativi africani.
Il prezzo di uno schiavo dipendeva da molti fattori: età, sesso e dalla richiesta. Un uomo giovane veniva comprato per circa 26 sterline e rivenduto in America per 40.
In Africa diverse nazioni europee fecero costruire dei forti usati sia come residenza per i funzionari sia come “depositi” per immagazzinare gli schiavi. I metodi per procurarsi gli schiavi erano quattro. Scorrerie, rapimenti, criminali condannati e prigionieri catturati nelle guerre tra i vari stati.
Poco dopo che le tre caravelle di Cristoforo Colombo sbarcarono nel Nuovo Mondo, Lisbona diventò un gigantesco mercato di schiavi. La Spagna ne seguì l’esempio quasi subito. Dal Golfo di Guinea, ribattezzato, “Golfo degli Schiavi”. partivano le navi stracariche di neri accatastati l’uno sull’ altro, destinati a morire in gran parte durante la lunghissima traversata dell’Oceano.
Dopo essere stati strappati a forza dai loro villaggi dai mercanti arabi, venivano incatenati in lunghissime file per impedirne la fuga. Costretti poi ad una lunga e massacrante camminata verso la costa. Arrivati nelle città portuali, gli schiavi superstiti venivano rifocillati, curati, ripuliti e unti con olio di palma per ben figurare agli occhi dei mercanti. Erano esposti al mercato degli schiavi, dove i compratori delle varie compagnie commerciali europee si aggiudicavano i “pezzi” migliori con vere e proprie aste.
Venivano poi imbarcati alla volta di Haiti, Cuba, Brasile, Santo Domingo. Stipati uno sull’altro, incatenati con lunghi catenacci nelle stive delle “navi negriere”, spesso vecchie carrette che colavano a picco dopo qualche chilometro di navigazione.
Purtroppo anche i sovrani africani scoprirono il valore di quel mercato. Vi si gettarono a capofitto, vendendo ai paesi europei i propri prigionieri di guerra in cambio di stoffe pregiate, seta, perle, pietre preziose, acquavite, cannoni, polvere da sparo e altre armi. Le ricerche scientifiche hanno dimostrato che le rotte più seguite dagli squali per le loro migrazioni corrispondono perfettamente a quelle navi negriere dei secoli scorsi.
Nella seconda metà del XVIII secolo, l’Europa “cristiana” incominciò a rendersi conto della disumanità di questo traffico. A promuovere la campagna per la sua abolizione furono soprattutto i quaccheri in Gran Bretagna e in America. La Rivoluzione francese abolì formalmente la schiavitù, anche se il turpe commercio continuò indisturbato per decenni. Questo non portò alla fine dello schiavismo, anzi aumentò i prezzi degli schiavi e cambiò il modo di portarli nei vari paesi.
Finalmente con il Congresso di Vienna gli stati europei s’impegnarono ad abolirle la schiavitù. Passò mezzo secolo prima che si riuscisse a stroncare il contrabbando (l’ultimo carico clandestino di prigionieri da Quidah per le Americhe è del 1869) L’Inghilterra vi aveva già provveduto nel 1807. Gli Stati Uniti lo fecero soltanto nel mezzo secolo più tardi, nel 1863 dopo la guerra di secessione. Nel complesso la maggiore potenza schiavista fu il Portogallo, con 30 mila traversate atlantiche in quattro secoli, seguita dall’Inghilterra, con 12 mila.
Gli ultimi paesi a spezzare le catene degli schiavi furono il Brasile e Cuba, nel 1888.
Nel 1926, dopo la prima guerra mondiale, la Società delle Nazioni deliberò ufficialmente la fine della tratta e dello schiavismo in tutto il mondo.
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