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Nato a Samarcanda nel 1336, Tamerlano visse per quasi settant’anni, affermandosi come il conquistatore più feroce della storia. Il suo esercito composto di arcieri mongoli e da Tartari armati di scimitarra, devastò l’Asia dalla Siria e dalla Turchia, fino ai confini della Cina e da Mosca a Delhi.
Si racconta che nel 1401 a Damasco, in Siria, Tamerlano accolse una domanda di grazia da parte di migliaia di cittadini terrorizzati consigliando loro di rifugiarsi nella grande moschea.
Secondo uno storico contemporaneo i suoi luogotenenti fecero entrare circa 30.000 persone tra donne, bambini, preti e altri fuggiaschi nella costruzione di legno, sbarrarono tutte le uscite quindi bruciarono il santuario.
La stessa misericordia, il conquistatore la promise agli anziani di Sivas, in Turchia.
Disse che non ci sarebbe stato alcuno spargimento di sangue se i difensori della città si fossero arresi.
E invece quattromila soldati armeni che avevano animato la resistenza turca furono sepolti vivi, i cristiani furono strangolati, o legati e poi annegati, quanto ai bambini furono raggruppati in un campo, dove furono uccisi sotto gli zoccoli della cavalleria mongola.
L’occupazione preferita di Tamerlano e dei suoi uomini era la decapitazione di massa.
Quando i Tartari annientarono un presidio di crociati a Smirne, sulla costa turca, navi cariche di rinforzi provenienti dall’Europa si presentarono davanti alla costa; gli uomini di Tamerlano indussero i nuovi venuti ad arretrare lanciandogli contro una raffica di teste umane: erano quelle mozzate dei prigionieri.
Dopo aver conquistato la città di Aleppo, in Siria, costruirono piramidi alte cinque metri usando le teste di ventimila cittadini. Queste macabre torri dovevano servire da monito per chi non temeva l’ira di Tamerlano.
La più grande fu eretta nel 1387 dopo che una ribellione generale a Isfahan (odierno Iran) aveva portato al massacro di tremila soldati dell’esercito di Tamerlano.
Alcuni dei soldati erano musulmani come lo stesso Tamerlano, ed erano riluttanti a uccidere altri musulmani, comprarono, perciò, da compagni meno scrupolosi le teste che avrebbero dovuto mozzare.
Il risultato fu un disgustoso mercato di morte.
All’inizio, le teste iraniane erano vendute a venti dinari ciascuna, alla fine la quota era scesa a mezzo dinaro. Quando ormai sazio di sangue l’esercito se ne andò, settantamila teste erano accatastate attorno alle mura della città.
Il gusto della battaglia era in lui così forte che, persino quando tornava a Samarcanda per celebrare le sue vittorie, preferiva accamparsi fuori dalle mura anziché alloggiare in un lussuoso palazzo.
Nel febbraio 1405, in procinto di intraprendere una nuova guerra che avrebbe dovuto portarlo alla conquista della Cina, Tamerlano morì.
Ironia della sorte non morì in battaglia, ma nel suo letto vecchio e consumato dalla malattia.
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