RELIGIONI – DOTTRINE – SETTE

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Il complesso di norme religiose, giuridiche e sociali direttamente fondate sulla dottrina coranica prende il nome di Sharia. In quest’ultima convivono regole teologiche, morali, rituali e quelle che noi chiameremmo norme di diritto privato, affiancate da norme fiscali, penali, processuali e di diritto bellico.

Sharia significa, alla lettera, “la via da seguire”, ma si può anche tradurre con “Legge divina”.

Le fonti del diritto islamico
Coincidono con le fonti della teologia islamica e sono quattro: il Corano, la tradizione sacra (sunna), l’opinione concorde e l’interpretazione analogica. A queste si aggiungono alcune fonti non canoniche, usate però di fatto nella vita giuridica degli stati islamici e sono: la consuetudine (“urf”), le decisioni giudiziarie, il decreto del sovrano (“qanun”) e il pubblico interesse (“maslaba”).

-Il Corano come fonte giuridica, offre poco materiale. Dei 6237 versetti che lo compongono, circa il dieci per cento si riferisce a temi giuridici in senso lato

  • La tradizione sacra (“Sunna”).
    Maometto aveva risolto casi concreti o espresso opinioni che potevano contribuire a colmare in modo autentico le lacune del Corano. Una “tradizione” deve essere un racconto tramandato da una catena ininterrotta di narratori attendibili e avente per oggetto un comportamento di Maometto, il cui agire è ispirato da Dio.
    Nel mondo islamico non esiste un’opinione unitaria e concorde s quali hadith siano da ritenere attendibili. Una collezione di hadith del IX secolo ne elenca 300.000, di cui soltanto 8000 ritenuti autentici.
  • L’opinione concorde della comunità (“ijma”).
    Corano e sunna, interpretati secondo tecniche minuziose, lasciavano però ancora qualche problema insoluto, né i pareri degli ulema avevano forza sufficiente ad integrare la parola di Dio. Tuttavia una tradizione della sunna afferma che, se la comunità dei giuristi-teologi dà il suo consenso generale ad una teoria, questa non può essere errata. Questo consenso (ijma) non è facile da definire. Di fatto, l’ijma è intesa come il consenso dei giurisperiti più autorevoli, purché il loro numero sia ragionevolmente grande e il loro parere chiaramente formulato.
  • L’interpretazione analogica (“qiyas”).
    Questa fonte è specificamente giuridica, nel senso che l’uso dell’analogia – strumento indiscusso in teologia – fu oggetto di gravi controversie nella soluzione di casi giudiziari, perché si riteneva empio usare la ragione umana per colmare un’apparente lacuna divina. L’analogia era un apporto esterno all’islam.

Il diritto penale islamico

Non presenta una distinzione netta tra peccato e reato, dato il carattere religioso dell’intero sistema giuridico. Di conseguenza, il diritto penale fa la sua apparizione come disciplina relativamente autonoma solo verso il XII secolo.

I reati penali si possono distinguere in tre grandi categorie.

Alla prima appartengono i reati espressamente puniti dal Corano e dalla sunna. Prendono il nome di reati hudud, sono i più gravi e il giudice ha nei loro riguardi un potere discrezionale molto limitato. Contro questi reati la religione nascente viene difesa con durezza: la flagellazione e la pena di morte colpiscono i reati contro Allah, quali l’apostasia, la bestemmia o l’adulterio.

Pene corporali severe vengono applicate a reati gravi come il furto o il brigantaggio. Questi reati vengono sempre perseguiti d’ufficio, perché rivolti contro Dio e lo stato è il vicario di Dio sulla terra.

Alla seconda categoria appartengono i delitti di sangue (reati qisas).

Anche qui le pene sono determinate dal Corano e dalla sunna, quindi la discrezionalità del giudice è limitata. Sono puniti con la legge del taglione, la quale – a discrezione della vittima o della sua famiglia – può essere sostituita dal prezzo del sangue o dl perdono.

La terza categoria di reati sono detti tazir.

Comprendono quei comportamenti che, di epoca in epoca, sono stati considerati nocivi alla buona convivenza sociale, ma per i quali né il Corano, né la sunna prevedono pene specifiche. La loro punizione ricade quindi nell’ambito della discrezionalità del giudice. Risulta difficile fissarne con precisione la fattispecie, perché variano di luogo in luogo e di epoca in epoca. I reati che non sono né hudud né qisas sono tazir.

I vari tipi di reato si distinguono in base alla fattispecie, alla prova richiesta e alla punizione prevista:

Reati hudud: adulterio, diffamazione, apostasia, brigantaggio, uso di bevande alcoliche, furto, ribellione.
Reati qisas: omicidio volontario, omicidio per fatto involontario, omicidio indiretto, lesione corporale volontaria, lesione corporale involontaria.
Reati tazir: sodomia; importazione, esportazione, trasporto, produzione o vendita di vino.
– Reati minori (disobbedienza al marito, insulti a terzi); diserzione; appropriazione indebita, falsa testimonianza; evasione fiscale. Vari reati minori, reo recidivo per un reato tazir; usura, corruzione.

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