Del resto la manodopera servile cominciò a costituirsi soltanto a partire dal Nuovo Regno, quando le campagne militari dei faraoni in Nubia e in Asia condussero in Egitto nutrite schiere di prigionieri.
I soldati ricevevano in ricompensa delle loro prestazioni schiavi stranieri. I templi e i possedimenti del faraone si arricchivano di schiavi prelevati tra le popolazioni vinte.
Leggiamo in un testo:
“Il bambino è dato alla luce per essere tolto a sua madre, e quando è ormai adulto gli si spezzano le ossa” ( in senso metaforico).
Abbiamo notizie anche di schiavi sposati con donne libere o padroni di possedimenti e servitù. Un barbiere diede il suo schiavo in sposo alla propria figlia e ne fece il suo erede.
In questo caso lo si cercava, ma senza troppa determinazione, e se riusciva a varcare il confine la questione veniva archiviata.
Esistevano anche dei mercati di schiavi: l’acquisto veniva reso ufficiale attraverso un giuramento prestato davanti a testimoni e ad una registrazione scritta fatta da un funzionario.
L’incredibile dedizione mostrata dagli schiavi al loro padrone, toccò in Egitto punte clamorose e fu per ricompensare tale straordinaria fedeltà che spesso i faraoni elevarono al rango di favoriti reali degli stranieri di condizione servile.
I Ramessidi,in particolare Ramses II e Ramses III, giunsero addirittura ad integrare nei loro eserciti dei prigionieri di guerra e a far di loro ( è il caso degli Shardana e dei Mashawash) le proprie guardie del corpo o dei guerrieri scelti.
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