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La morte come fine non esiste nel pensiero dell’antico Egitto e, come tale, fu rifiutata perché essa è intesa solo come modificazione dell’armonia vitale.
In effetti gli egizi non la accettarono mai né come scomparsa dell’Essere né come una seconda vita del tutto relegata in un altro mondo, lontana dalla vita terrena.
L’ anima continua a vivere nei pressi del corpo mortale, si riposa presso di lui, si nutre delle offerte portate dai vivi, perché il corpo divino del defunto continua a vivere in perenne comunicazione tra questo e l’altro mondo.
Ogni uomo ha come missione quella di conoscere il Nome segreto che gli fu imposto alla nascita e superare vittoriosamente la prova della morte significa rendere questo Nome durevole come quello di Osiride. L’uomo esce dal grande corpo di Maat e vi ritorna dopo il suo soggiorno sulla terra. Gli elementi costitutivi dell’Essere non coabitano più. L’evento chiamato morte è quindi il più pericoloso dei “momenti di passaggio” perché i dodici geni maschi dell’uomo rischiano, al di là dello specchio, di restare disuniti.
Il passaggio armonico di tutto l’Essere è permesso solo dalla corretta esecuzione di riti funebri che gli segnano la strada verso la Luce per rivivere, “dall’altra parte”, in tutta pienezza evitando la “seconda morte”.
Vita che necessita del buon funzionamento del Cuore e degli organi vitali, delle energie sottili contenute nei cibi e nelle bevande servite nei banchetti dell’al di là. Per tale motivo la salma viene portata nella casa della morte dove resta per settanta giorni. In essa, nella tenda di purificazione, il morto viene accolto e deterso con acqua salata simbolo del Nun, oceano rigeneratore primigenio, ed il defunto ne viene purificato come il Sole quando al mattino esce dal mare dopo il passaggio attraverso le tenebre dell’occidente.
I riti di resurrezione promettono al nuovo essere di recuperare l’uso del suo corpo, analogo ma non identico a quello che possedeva nella vita terrena e per permettere ciò le sue viscere vengono poste nei vasi canopi. Così non solo gli organi materiali vengono salvati ma anche i principi sottili che essi contengono, perché la mummificazione è l’atto magico mediante cui il mago fa passare il “defunto” dal suo corpo umano a quello divino. Nella Sardab, piccola ed esigua stanza nel cuore della Mastaba, giace la statua vivente del morto ed il suo dinamismo creatore, il Ka, aleggia intorno ad essa. Accanto alla mummia viene posto un papiro che ha il compito di respingere ogni forza ostile e di permetterle un viaggio sicuro nelle “Terre d’Occidente”.
Vengono posti gli amuleti di Heliopolis. Nella tomba è messo un pilastro djed, (asse immutabile che collega la terra al cielo gli illumini la coscienza). Una colonnina ouadj, (col suo rappresentare la crescita continua dell’Essere, abolisca per lui la frontiera tra il “basso” e “l’alto” mondo). Sul cuore uno scarabeo simboleggia le continue mutazioni della coscienza. Attorno al sarcofago è creato un simbolico campo d’energia concretizzato dall’Occhio, la livella, la squadra, il sole nascente in modo che la mummia sia resa incorruttibile dalla potenza magica che da essa si sprigiona.
Le sottili bende che avvolgono la salma gli sono state donate da Neith, la dea tessitrice, il cui compito consiste nel preservare il corpo dalla putrefazione, conferendo all’individuo mummificato la qualità della realtà in eterno. Riportato alla tenda di purificazione, a lui ancora inanimato, il sacerdote con una piccola ascia di ferro provvede all’ “apertura della bocca” per restituirgli il Verbo e con questo atto la mummia è resa vivente ed il defunto può passare dal suo corpo umano al corpo divino.
Sul sarcofago di una sacerdotessa di Tebe sono rappresentati il dio Thot con testa di ibis e il dio Horus con testa di falco, nell’atto di versare dell’acqua sul corpo della donna, raffigurata ancora in vita ed inginocchiata su una stuoia.
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Gli pone sotto il capo l’ipocefalo che come fiamma divina trasforma il cadavere in essere vivente. Al corpo così purificato sostituisce l’odore della carne decomposta con quello dell’incenso e della mirra. Ra pone sul volto della salma una maschera d’oro segno della vita rigenerata, simbolo dell’imperituro e che esprime lo splendore della vita divina ed Iside cura che il defunto rinnovi la sua vita per mezzo dell’oro interiore insito in ogni uomo. La statua viene quindi posta nel sarcofago ed il suo spirito può entrarne ed uscirne perché non è un sepolcro, un luogo di costrizione. “Colui che possiede la vita” – tale è il suo nome – è la nave che porta il defunto nel ventre del cielo permettendo il libero passaggio dello spirito da questo a quel mondo.
Un’offerta che dona il Re,
un’offerta che dona Anubis:
mille pani, mille brocche di zytum,
mille buoi, mille oche
per la tua Potenza vitale.
Questa è la classica formula incisa sulle steli funebri, mentre nella tomba vengono deposte le cartelle delle offerte, liste di cibi destinati alla sopravvivenza nel mondo oscuro. Con la loro lettura, dai geroglifici emana l’essenza profonda dei cibi perché è la magia del Verbo che nutre realmente l’anima degli abitanti dell’aldilà.
Egli è attorniato da altri personaggi: gli ushabti, quelli che rispondono all’appello dei morti per aiutarli. Sono statuine di personaggi con il corpo ricoperto da testi magici, recanti sulla schiena un sacco ed impugnanti due zappe. Sono il supporto delle forze costruttive e la loro funzione è di essere sostituti magici nelle terre dell’Occidente, prendendo il posto del defunto nel lavori più faticosi, perché il giusto possa godere pienamente della sua seconda vita, delle offerte rituali, dei cibi, della caccia, dell’amore, vivendo una morte tranquilla nel paradiso del “campo dei giunchi”.
I paradisi egizi non sono immaginati come luoghi di perpetua adorazione della divinità né come proiezione incompleta della vita terrena. Essi rappresentano simbolicamente la società celeste in cui il beato prende posto di diritto trascorrendo una sua vita autonoma in armonia con gli dei.
Molti sono i rischi che attendono l’adepto sulle strade dell’altro mondo e lungo è il tragitto per arrivare. Esso è popolato da terribili geni che tendono agguati al viandante, lungo le due strade, una per via d’acqua, una per via di terra e separate dal fiume di fuoco.
Grazie ai riti funebri egli gode dei poteri magici in forza dei quali può vincere questi sinistri esseri che vigilano su luoghi oscuri e profondi, su strade che si perdono nella tenebra, su incroci che portano al nulla.
Un altro personaggio si oppone al viaggiatore.
E’ il Passatore detentore della barca, grazie al quale si possono attraversare i deserti acquatici che cingono i paradisi celesti, ricordo del viaggio sulle acque di Osiride defunto.
Per essere traghettato il postulante deve dimostrare la sua conoscenza, i suoi poteri. Egli proviene dall’isola di fiamma dove ha ingaggiato un’aspra battaglia coi nemici della luce. Conosce i Nomi segreti delle cose e non esita ad enunciarli; ha scoperto il cantiere degli dei dove la barca celeste giace smembrata, come Osiride sulla terra. Il Passatore è vinto da tanto sapere e mette la barca a sua disposizione:
“Passa- egli dice – perché tu hai la conoscenza”
e si ridispone alla sua eterna attesa di un altro viandante da esaminare.
Per accedere oltre, il defunto deve superare la prova della porta che separa i due mondi e deve dimostrare al guardiano di conoscere bene i suoi Nomi: la soglia è “il Maestro di rettitudine che sta sulle gambe”; l’architrave il “Maestro di Forza che introduce il bestiame”; “Bilancia di precisione” è il frontone. Così può penetrare nella “sala delle due verità”, la divina e l’umana e contemplare l’assemblea dei suoi fratelli che l’hanno preceduto, perché solo la comunità può formare l’Occhio Completo capace di fissare la Divinità.
Per il popolo Osiride è il “dio del sentimento”, il dio “buono” che assume in sé il potenziale d’affetto e di speranza che riversa sugli uomini in forma di conforto. Egli permette di superare i confini dell’ignoto assicurando un destino ultraterreno corrispondente ai meriti ed al comportamento morale di ognuno, ma con un velo di complice benevolenza.
E’ potenza di manifestazione della Luce che proietta verso il mondo degli uomini la Realtà Divina dove tutto è continua trasformazione. Egli è giudice inflessibile e dinanzi a lui l’uomo interiore si deve rivelare completamente per porre in relazione la propria azione personale con quella universale. Osiride è innanzitutto energia cosmica in cui ognuno può scoprire le leggi della Saggezza in maniera proporzionale all’intensità del proprio Occhio.
All’estremità opposta della sala siede Anubi dalla testa di sciacallo che introduce il defunto.
Tutti ascoltano la confessione dei viandante che assicura loro di non essersi macchiato delle settanta orribili colpe.
Io vengo presso di voi, grande Tribunale
che è in cielo, in terra e nella necropoli…
Salve a te che presiedi agli Occidentali
… io vengo a te ed il mio cuore porta la
verità.
Non c’è colpa nel mio corpo…
Su un piatto della grande bilancia è il Cuore dei viaggiatore, sull’altro la penna di Maat. Anubis controlla il peso ed in questo momento l’uomo deve rendere conto delle proprie azioni e dimostrare di avere fatto crescere la particella della Luce posta in lui.
Quindi accede all’interno del Sole e con esso giorno e notte percorre le vie del Cosmo dispensando energia creatrice, vero Dio vivente.
Sono aperte le porte del Cielo,
i catenacci sono stati tolti dalle porte del
Tempio.
La casa è aperta al suo padrone!
Che esca quando vuole uscire,
che entri quando vuole entrare…”
Se al contrario in questo mondo si è accontentato di sopravvivere senza coscienza dell’Armonia Divina, viene divorato dalla “mangiatrice d’Occidente”, condannato alla seconda morte da cui non esiste ritorno. Il messaggero d’Osiride incute timore. Qui gli affetti sono vivi e brucianti in petto, di là la paura dell’incognito, la solitudine imprimono una sottile malinconia che la speranza di una seconda vita non riesce a dissipare.
“L’Occidente è un paese di Sonno,
di fonda oscurità, sede di quelli che sono là,
che dormono nelle loro bare…
L’Acqua della Vita
di cui tutte le bocche si nutrono è per me sete
Essa viene a chi è sulla terra, per me è sete…
Volgete la mia faccia al vento del nord,alle sponde dell’Acqua.
Fate che il mio Cuore nella sua pena abbia refrigerio…-“
Per quel che riguarda la Morte,il suo nome è “VIENI”…
Non c’è nessuno che possa sviare il suo cenno da sé…”
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