TESTI RELIGIOSI – ANTICO EGITTO
Il libro dei Morti è una raccolta di testi funerari di epoche diverse, contenente formule magiche, inni e preghiere che guidavano e proteggevano l’anima (Ka) nel suo viaggio attraverso la regione dei morti.
Secondo la tradizione, la conoscenza di questi testi permetteva all’anima di scacciare i demoni che le ostacolavano il cammino e di superare le prove poste dai quarantadue giudici del tribunale di Osiride dio dell’aldilà.
I primi testi funerari a noi noti furono incisi in geroglifici sulle pareti interne delle piramidi dei re della V e VI dinastia del Regno Antico, e presero il nome di “testi delle piramidi“.
Nel primo periodo intermedio e nel Medio Regno fu d’uso farsi dipingere questi testi sui sarcofagi, pratica da cui deriva il nome di “testi dei sarcofagi“.
Nella XVIII dinastia furono scritti su papiri, molti dei quali lunghi da quindici a trenta metri e con illustrazioni a colori, posti nei sarcofagi.
Questa vasta raccolta di testi funerari ci è pervenuta in tre differenti versioni:
l’eliopolitana, compilata dai sacerdoti del Collegio di Anu e contenente testi in uso tra la V e la XII dinastia; la versione tebana, in uso dalla XVIII alla XXII dinastia, e la versione saita, in uso a partire dalla XXVI dinastia, intorno al 600 a.C., sino alla fine delle dinastie , nel 31 a.C.
Il titolo di “Libro dei Morti” è fuorviante. I testi non formano un’opera unitaria e non appartengono a un unico periodo. Gli egittologi solitamente intitolano così le ultime due versioni.
Poiché si riteneva che, dopo aver lasciato la tomba, le anime dei morti fossero in balia di infiniti pericoli, le tombe erano tutte dotate di una copia del Libro dei Morti , vera e propria guida per il mondo dell’aldilà.
Dopo l’arrivo nel regno dei morti, il ka veniva giudicato da Osiride e dai quarantadue demoni che lo assistevano.
Se essi decidevano che il defunto era stato un peccatore, il ka era condannato alla fame e alla sete o a essere fatto a pezzi da orribili carnefici; se invece la decisione era favorevole, il ka migrava nel regno celeste dei campi di Yaru, dove il grano cresceva altissimo e l’esistenza era una versione festosa della vita sulla Terra.
Tutti gli oggetti necessari per la vita nell’aldilà venivano perciò posti nella tomba.
Come pagamento per l’aldilà e per la sua benevola protezione, Osiride chiedeva che i morti svolgessero mansioni per lui, ad esempio lavorare i campi di grano. Anche questo compito, tuttavia, poteva essere evitato ponendo alcune statuette, chiamate ushabti, nella tomba affinché fungessero da sostituti per il defunto.
GRANDE GATTO
Era un gatto dal pelo fulvo con orecchie grandi come quelle della lepre, seduto sulle zampe posteriori e rivolto all’occidente.
Stringeva nella zampa anteriore sinistra un lungo coltello, con il quale feriva un grosso serpente mentre con la zampa destra gli schiacciava la testa.
Questa è la scena del “Grande Gatto”, una forma di Ra che blocca il suo nemico, il serpente Apophis che si trova nel capitolo 17 del Libro dei Morti, dipinta su molte tombe della necropoli operaia di Deir el Medina
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Il gatto nell’antico Egitto
Simbologia: gatto
- Capitolo uno
- Capitolo quattro Le figurine magiche
- Capitolo tredici L’ingresso nell’Amenti
- Capitolo diciassettesimo Per entrare nel Mondo Inferiore e Uscirne
- Capitolo diciottesimo
- Capitolo Ventisei Per restituire al defunto il suo cuore
- Capitolo Trentanove Per respingere il demone Apophis
- Capitolo ottanta Inno a “Hathor”
- Capitolo 125
- La confessione
- I quarantadue giudici del tribunale della sala delle due Maat
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