ECUADOR
Si dice che i Jivaro dell’Ecuador coltivino ancora la macabra arte di ridurre la testa. Nel 1450 circa, l’esercito del re Inca Tupac Yupanqui invase il regno di Quito nella regione meridionale dell’odierno Ecuador.
Il terrore serpeggiava tra i soldati, quella non era una semplice guerra di conquista, dovevano scontrarsi con i temibili Jivaro. I cacciatori di teste, che dopo aver decapitato i nemici rimpicciolivano il cranio per annullarne lo spirito immortale del defunto. Anche gli Inca decapitavano i loro nemici, ma poiché erano convinti che nel cranio risiedesse l’anima temevano di restarne senza, mentre la distruzione dello spirito era proprio quello che volevano i Jivaro.
Tupac Yupanqui vinse la guerra, ma non sottomise i Jivaro che si ritirarono nella giungla da cui erano venuti e scomparvero.
Per i Jivaro una volta rimpicciolito il cranio e imprigionato all’interno la sua anima, lo tsantsa (è il nome di questa specie di piccola mummia) perdeva tutto il suo valore. L’anima del guerriero ucciso, il suo muisak, doveva venire neutralizzata, altrimenti avrebbe cercato e perseguitato l’uccisore del suo corpo.
Le tecniche dei Jivaro, per la mummificazione ridotta del cranio, richiedevano circa sei giorni, questo era quello che richiedevano le cerimonie rituali. Per prima cosa veniva disossato il cranio: si eseguiva togliendo la pelle tramite un’incisione verticale praticata sulla nuca.
Le ossa del cranio, i denti e gli occhi venivano buttati nel fiume in pasto alle anaconde.
La pelle veniva bollita fino a che non si restringeva e raggiungeva la metà della dimensione originale, era poi estratta dall’acqua bollente con un bastone ed appesa ad asciugare e a seccare. La parte interna veniva raschiata e le palpebre cucite, la pelle spessa e giallognola risultava gommosa al tatto. I Jivaro per ridurre ulteriormente le dimensioni della testa si servivano di pietre tonde scaldate sul fuoco. Una alla volta le pietre venivano infilate attraverso l’incisione praticata precedentemente e sistemate in modo da modellare la testa. Mentre la carne si stringeva le pietre venivano sostituite con altre più piccole.
Ciò che rimaneva del collo veniva cucito in modo da diventare proporzionato al resto.
I Jivaro praticavano un’ulteriore riduzione riempiendo la testa di sabbia calda, le labbra venivano trafitte con tre schegge di legno di palma e quindi cucite. La pelle veniva poi scurita con del carbone nero, così lo spirito sarebbe rimasto nell’oscurità. Alla fine in cima alla testa veniva praticato un foro in cui un laccio infilato permetteva al proprietario del tsantsa di portarlo al collo durante le cerimonie.
Molte tribù sono ormai scomparse da tempo, ma i Jivaro ancora oggi hanno una loro identità.
Ci sono motivi fondati, per ritenere che fino agli anni sessanta abbiano tenuto viva questa tradizione e che forse ancora oggi, seppur eccezionalmente, la pratichino nonostante le pesanti pene imposte dal governo dell’Ecuador.
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