“Incarcerarono il mio corpo, non riuscirono mai a farlo con la mia mente”

BIOGRAFIE – – STATI UNITI

Rubin Carter "Hurricane"

Rubin Carter nacque il 6 maggio 1937. Cresciuto a Paterson, New Jersey, insieme a sei fratelli, iniziò presto ad avere guai con la giustizia. Poco dopo il suo quattordicesimo compleanno fu imprigionato in un riformatorio per aggressione e furto.
Nel 1954 scappò e si arruolò nell’esercito. Superato l’addestramento a Fort Jackson, Carolina del Sud, fu trasferito in Germania dove nel 1974 iniziò ad interessarsi alla boxe.

Non era un buon soldato Carter; per ben quattro volte dovette presentarsi alla corte marziale a causa di varie insubordinazioni. Fu congedato nel 1956, dopo ventuno mesi.


La motivazione? Inadatto al servizio militare.

Al ritorno in New Jersey fu subito arrestato e condannato per la fuga dal riformatorio. Seguirono altri crimini tra cui spicca l’aggressione e la rapina nei confronti di una donna di mezza età. Carter sarà ospite della prigione di stato del New Jersey per altri quattro anni.
Durante gli anni di detenzione, rispolverò il suo interesse per la boxe, nel settembre 1961 (data del suo rilascio) diventò professionista. 

Combatté nella categoria pesi medi, nonostante fosse alto un metro e settanta circa, altezza mediamente più bassa per l’appartenenza alla categoria pesi medi.

Fisico possente, testa rasata, sguardo aggressivo, sul ring era una presenza intimidatoria.
Lo stile aggressivo, la potenza dei suoi pugni, catturarono bene presto l’attenzione del pubblico e gli fecero guadagnare il soprannome di “Hurricane”. Il mondo della boxe cominciò a notarlo dopo che uscì vittorioso da incontri con avversari come Holley Mims, Gomeo Brennan, Florentino Fernandez e George Bentos.


Nel luglio del 1963, il Ring Magazine lo inserì nella sua “Top 10”.

Sei incontri nel 1963, quattro vittorie e due sconfitte, la svolta il 20 dicembre, quando mandò al tappeto, due volte nel primo round, Emile Griffith vincendo per ko tecnico.
Questa vittoria fece guadagnare a Carter il terzo posto nel ranking degli sfidanti al titolo per pesi medi, titolo detenuto da Joey Giardello. Hurricane vinse altri due incontri prima di potersi misurare con Giardello. 

Il 14 dicembre il match a Philadelphia. Quindici round in cui Carter combatté bene, ma i giudici, all’unanimità, dichiararono Giardello vincitore ai punti. La stampa protestò vivacemente. Da un sondaggio tra i giornalisti a bordo ring risultò che 14 su 18 ritenevano Carter vincente. Hurricane non fece mai un reclamo ufficiale.
Nel 1965 combatté nove volte, perdendo quattro dei cinque incontri disputati contro avversari come Luis Manuel Rodriguez, Harry Scott e Dick Tiger

17 giugno 1966.

Lafayette Bar and Grill. Intorno alle 2,30 del mattino, due uomini di colore entrarono ed aprirono il fuoco.

Il barista Jim Oliver e Fred “Cedar Grove Bob” Nauyoks morirono sul colpo, Hazel Tanis circa un mese dopo a causa delle ferite riportare, Willie Marins, sopravvisse, ma perse la vista da un occhio. Alfred Bello, noto criminale, vide la scena e avvertì la polizia. Patricia Graham, residente al secondo piano del Lafayette, vide due uomini di colore salire in un auto bianca e sparire verso ovest, stessa scena vista da Ronald Ruggiero. La macchina di Carter coincideva con quella vista dai testimoni, fu fermato dalla polizia, insieme ad un altro uomo John Artis, e portati sul luogo della sparatoria.

Carter e Artis, non furono riconosciuti da nessun testimone, tanto meno dall’uomo sopravvissuto.

La polizia trovò nella macchina di Carter una pistola calibro 32 e dei proiettili per fucili calibro 12, stesso calibro usato per gli omicidi. Nel pomeriggio furono sottoposti alla macchina della verità.
John J. McGuire, l’esaminatore, trasse le seguenti conclusioni:
”Dopo un’attenta analisi dei risultati, è mia opinione che i soggetti stavano mentendo alle domande, ed erano coinvolti nel crimine. I soggetti negano qualsiasi con il crimine”.
Sette mesi dopo, Bello rivelò alla polizia che quella sera era in compagnia di un altro uomo Arthur Dexter Bradley. Entrambi, identificarono Carter come uno degli uomini armati visti fuori del bar, Bello identificò inoltre Artis come l’altro uomo armato.

Carter e Artis furono arrestati e incriminati, nonostante non fossero stati riconosciuti dagli altri testimoni.AAaa

A loro carico pesava il ritrovamento delle munizioni e la prova dell’identificazione della macchina da parte di Patricia Valentine.
La condanna: prigione a vita.
In seguito Bello e Bradley ritrattarono la testimonianza, ritrattazione che permise una mozione atta ad ottenere un nuovo processo. Tuttavia il giudice Larner, che aveva presieduto sia il primo processo sia la ritrattazione, negò la mozione. Gli avvocati della difesa formularono un’altra mozione e anche se Larner negò anche questa nuova mozione, la Corte Suprema concesse un nuovo processo nel 1976.

Durante il nuovo processo Bello ritrattò e tornò a sostenere la testimonianza del 1967.
Ancora una volta giudicati colpevoli, Carter e Artis furono nuovamente condannati alla prigione a vita.
Gli avvocati di Carter, dopo tre anni, si appellarono alla Corte Federale
Nel 1985 il giudice Haddon Lee Sarokin sentenziò che Carter e Artis non avevano avuto un processo equo, viziato da motivazioni razziali.
Nel 1988 i procuratori del New Jersey archiviarono gli atti d’accusa originali, facendo quindi cadere tutte le accuse.

Rubin “Hurricane” Carter, è morto nella sua casa di Toronto a 76 anni il 20 Aprile 2014.

“Incarcerarono il mio corpo, non riuscirono mai a farlo con la mia mente”.

Grazie alla ballata di Bob Dylan, il caso di “Hurricane” fu conosciuto dal grande pubblico.



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