LEGGENDE

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Un’esperienza di morte e rinascita, celebrata nel più gran segreto.

Il Golem è una figura mistica e simbolica simile a un automa, costituito da una materia alla quale è stata infusa la vita in modo artificiale. Il termine deriva probabilmente dalla parola ebraica Gelem, che significa “materia grezza” o “embrione”. E’ presente nel Tanakh (1) per indicare la “massa ancora priva di forma” che gli ebrei accomunano ad Adamo prima che gli fosse infusa l’anima. In ebraico moderno golem significa anche robot. A differenza della creatura ideata da Mary Shelley nel libro “Frankestein”, il Golem, è il prodotto di un atto creativo basato sulla parola, il suo nome significa “materia informe”. Il Golem eseguiva alla lettera gli ordini del suo creatore di cui diventava una specie di schiavo, tuttavia era incapace di pensare, di parlare e di provare qualsiasi tipo di emozione perché era privo di un’anima e nessuna magia sarebbe stata in grado di fornirgliela.

Si dice che il Golem sia stato formato attraverso il testo Sefer Yetzira (2) risalente alla sapienza di Abramo e si distingua per l’esegesi sui segreti dell’alfabeto ebraico, delle Sefirot (3) nel legame con l’anatomia del corpo umano con i pianeti, con i mesi, giorni e segni zodiacali.

Queste tre figure – l’uomo, il mondo e l’anno – rappresentano tre testimoni completi

Una piccola parentesi per ricordare che secondo la Cabala la creazione del mondo è avvenuta per un processo di emanazione di ogni cosa dal nome divino. Il principio fondamentale di tale concezione mistica considera ogni elemento del creato come derivato dalla composizione e scomposizione dei numeri e delle lettere dell’alfabeto ebraico, in particolare di quelle che compongono il nome di Dio.

“Dio ha creato tutte le cose per mezzo delle trentadue meravigliose vie della Sophia.

Queste vie sono costituite dai dieci numeri originari, qui chiamati sefirot, che sono le potenze fondamentali dell’ordine della creazione, e dalle ventidue lettere, cioè dalle consonanti, che sono gli elementi di base di tutto il creato”.

(Gershom Scholem, Il Nome di Dio e la teoria cabalistica del linguaggio, Adelphi, Milano, 1998, trad. di Adriano Fabris, p. 30).

La leggenda narra che nel XVI secolo il rabbino Jehuda Löw di Praga, cominciò a creare dei golem per sfruttarli come suoi servi, plasmandoli nell’argilla e risvegliandoli tramite una parola scritta sulla fronte:
verità (emeth).

I golem, però, diventavano sempre più grandi, finché fu impossibile servirsene. Un giorno il rabbino perse il controllo di un gigante che cominciò a distruggere tutto ciò che incontrava. Ripreso il controllo della situazione, l’uomo decise di smettere di servirsi del golem che nascose nella soffitta della Sinagoga Vecchia-Nuova di Praga, nel cuore del vecchio quartiere ebraico, dove, secondo la leggenda, si troverebbero ancora oggi.

Secondo un’altra leggenda Rabbi Elijah von Chelm creò un Golem che gli faceva da schiavo.

Questi, però crebbe a dismisura diventando talmente minaccioso da incutere terrore al suo creatore, che decise di cancellare la parola “emeth” lasciando sulla fronte solo meth (morte). Il Golem crollò decomponendosi in una massa d’argilla che schiacciò e soffocò il suo creatore.

In questa storia possiamo ravvisare un ammonimento contro l’uso sconsiderato delle forze magiche che non obbedendo più al proprio creatore diventano incontrollabili.

Può anche essere intesa come una parafrasi giudaica di leggende cristiane. Per esempio di quella secondo cui sant’Alberto Magno (1193-1280) si sarebbe fabbricato uno schiavo artificiale, poi distrutto dal suo allievo Tommaso d’Aquino (1225-74). Nell’opera di Ahimaaz ben Paltiel, cronista medievale del XII secolo, si narra che nel IX secolo un rabbino, Ahron di Bagdad, scoprì un Golem a Benevento, un ragazzo a cui era stata donata la vita eterna per mezzo di una pergamena. Sempre alla fine del IX secolo, secondo la cronaca di Ahimaaz, nella città di Oria (Brindisi) risiedevano dei sapienti ebrei capaci di creare Golem, i quali smisero di praticare questa attività dopo una ammonizione divina.

Gershom Scholem nell’ultimo capitolo di “La Kabbalah e il suo simbolismo” fa un excursus di queste leggende, e puntualizza come il famoso “Golem” di Meyrink (il libro fu pubblicato nel 1915 e divenne subito famosissimo contribuendo a diffondere la leggenda) abbia poco o nulla a che fare con la tradizione ebraica.

Sembrerebbe piuttosto un insieme di leggende, credenze magiche e superstizioni da romanzo gotico.

1 La Bibbia ebraica o Tanakh è l’Antico Testamento per i cristiani, nella versione masoretica per i “Protestanti” e della settanta per Ortodossi e Cattolici.
I libri che non appartengono al canone della Bibbia ebraica sono detti deuterocanonici dai cattolici mentre sono considerati apocrifi dai protestanti.

2 Il Sefer Yetzirah (Libro della Formazione o Libro della Creazione) è uno dei testi più importanti dell’esoterismo ebraico, sebbene alcuni antichi commentatori considerassero il libro come un trattato di teoria matematica e linguistica in opposizione alla Cabala.

3 La parola “sefirot” è connessa, secondo il Sefer Yetzirah, con sefer (scrittura), sefar (computo) e sippur (discorso), che derivano dalla stessa radice SFR. Le Sefirot nella Cabala ebraica sono le dieci modalità o gli “strumenti” di Dio attraverso cui l’Ein Sof (l’Infinito) si rivela e continuativamente crea sia il reame fisico sia la Catena dei Reami metafisici superiori (Seder hishtalshelus)

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