FILIPPINE – BIOGRAFIE
Rodrigo Duterte è il sedicesimo Presidente della Repubblica delle Filippine noto con il soprannome di The Punisher (il Castigatore).
Duterte e gli squadroni della morte
“Siamo angeli della morte incaricati di riportare le anime impure in cielo”.
Un funzionario della polizia filippina, protetto dall’anonimato, parla al Guardian del ruolo svolto dalle forze dall’ordine nella lotta al crimine.
Dieci team speciali, ognuno composto da sedici membri, che agiscono su ordine del Presidente Duterte e che hanno causato quasi 4.000 morti. Incappucciati e vestiti di nero, uccidono tossicodipendenti, spacciatori e criminali.
“Neutralizzare i parassiti” è il termine che preferiscono.
Oltre 3.600 morti dal primo luglio, data in cui Rodrigo Duterte ha assunto ufficialmente l’incarico di presidente, a ottobre 2016. 1.375 uccisioni sarebbero state eseguite durante operazioni di polizia, 2.233 e più da ignoti vigilantes, in altre parole criminali, signori della droga e altri fuorilegge impegnati una resa dei conti trasversale.
La fonte del Guardian, responsabile di ottantasette esecuzioni, parla di una divisione degli incarichi. Oltre alla polizia e ai giustizieri ci sono “gli squadroni della morte”, ben addestrati e molto pericolosi.
I comandanti di ogni squadra operativa ricevono una lista di obiettivi con foto e dossier sui criminali da identificare, Uno o due membri si recano presso l’abitazione dei sospettati per compiere accertamenti sul presunto coinvolgimento in attività illegali. “Così li studiamo e decidiamo se portare a compimento la nostra giustizia, ovviamente è il governo che ci ordina di farlo”, spiega la fonte, che aggiunge: “Non ci limitiamo a uccidere per piacere, ma se riteniamo di avere a che fare con un criminale incallito che si guadagna da vivere come un parassita a discapito degli altri, non abbiamo pietà, gli somministriamo la peggiore delle fini”.
Gli squadroni della morte operano di notte.
Identificato il bersaglio lo freddano sul posto, poi si sbarazzano del corpo abbandonandolo in una città vicina o sotto un ponte.
Quando Duterte, ribattezzato il “giustiziere”, salì al potere dichiarò che in sei mesi avrebbe debellato il narcotraffico dall’arcipelago del Sudest asiatico, seguendo il “modello Davao”. Il metodo con il quale amministrò l’omonima città tra il 1988 e il 2016, e che implicava ampie libertà alle forze dell’ordine, compresa l’amnistia per i poliziotti corrotti per portare a compimento la loro missione.
Nel 2009, Human Rights Watch pubblicò il rapporto You Can Die At Any Time con la speranza di ispirare più approfondite indagini sull’operato dell’ex sindaco. Nel settembre 2016, il nuovo numero uno della PNP, ex capo della polizia di Davao promosso al nuovo incarico da Duterte stesso, negò categoricamente l’esistenza degli “squadroni della morte” e di un’alleanza informale tra vigilantes e forze dell’ordine, bollandoli come “invenzioni dei media”.
Una versione che finora non è bastata a zittire le condanne della comunità internazionale.
Le ultime rivelazioni contro il presidente sono di Arthur Lascanas, un poliziotto in pensione, che attribuisce a Duterte l’uccisione di molte persone, tra le quali un giornalista e una donna incinta. Lascanas ha mosso le sue accuse durante una conferenza stampa, accompagnato da tre avvocati che si occupano di diritti umani.
L’ex poliziotto ha elencato una serie di omicidi che sarebbero stati commessi a Davao per ordine di Duterte,. Oppositori, spacciatori, tossicodipendenti e piccoli criminali in genere. Il gruppo, ha aggiunto Lascanas, riceveva tra i 20mila (400 dollari) e i 100mila pesos per ogni omicidio.
Fra le vittime vi sarebbero stati anche due fratelli tossicodipendenti dell’ex poliziotto.
“Ho ordinato l’uccisione dei miei due fratelli a causa della mia cieca fedeltà all’ex sindaco Duterte, anche se vengo ucciso, io sono contento perché la mia promessa a Dio è quella di fare una confessione pubblica”.
Le dichiarazioni di Lascanas hanno destato una certa sorpresa perché, ascoltato in Senato lo scorso ottobre, l’ex agente negò di aver partecipato alle esecuzioni sommarie di Davao.
Il presidente filippino nel corso degli anni ha mantenuto sempre un atteggiamento ambiguo rispetto all’esistenza di uno squadrone della morte a Davao e alla sua partecipazione a esecuzioni sommarie, ora confermando ora smentendo le circostanze.
Di fronte alle accuse di Lascanas, invece, la smentita è stata netta. “Il killer Arthur Lascanas è parte di un’estensione di un complotto politico per distruggere il presidente e rovesciare il suo governo”, ha detto il portavoce presidenziale, Martin Anadanar.
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